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La corsa all’infrastruttura più critica ha già dei vincitori

Il 5G e i telefoni pieghevoli sono stati la crème dell’Mwc a Barcellona, l’evento imperdibile di quella che qualche secolo fa era la “telefonia mobile”. Anche nelle reti, come in tanti altri settori dell’economia, è arrivata l’intelligenza artificiale (Ai) – intendendo (English here) che è già qui. Che piaccia o meno, siamo entrati nell’era l’iperconnettivitàintelligente”: le reti che si autogestiscono per capacità, velocità e criticità secondo il fabbisogno.

Il mondo produttivo stava appena cominciando a capitalizzare sul Big data e a pianificare l’Internet delle cose (Iot) che già deve ripensare come produrrà nei prossimi 10 anni. L’ambito del settore va ormai ben “oltre la semplice connettività”, dice Mats Granryd, direttore del Gsma. Lo dicono anche i fatti: il traffico dati mobile crescerà, si prevede, del 46% entro il 2022, mentre i tradizionali servizi voce, sms, ecc. tra poco rappresenteranno solo il 5% degli introiti degli operatori.

Anche le telco riflettono questo cambiamento tettonico: negli Usa si comprano i produttori di contenuti; altre si espandono verso l’industria con reti locali limitate (aree industriali, porti, zone minerarie); in Africa seguono strade diverse – dal 5G a Dubai nel 2020 (ne scrivo tra poco) a quelle che “ancora” con 2G3G servono i milioni di persone che hanno accesso ai servizi finanziari solo grazie ai cellulari; in Giappone con un’originale combinazione di tecnologie un operatore ha capovolto il tradizionale modello delle telco (prossimamente); e via dicendo.

L’Mwc riflette anche i ritmi con cui procedono le regioni del mondo e quanto spesso sia difficile sincronizzare i tempi, e le esigenze, dei governi con i passi avanti del settore privato. Le reti 5G ne sono un buon esempio. Ormai sono vari i paesi e gli operatori che si contendono il titolo di primo lancio di una rete commerciale 5G. L’elenco può apparire prolisso, ma mira a rendere la realtà: le reti 5G ci sono già perché gli standard (Release 15) sono pronti ed è solo, si fa per dire, questione di aggiornare e complementare le infrastrutture e accenderle piano piano.

Dopo Finlandia e Qatar nel 2018, negli Usa ce ne sono varie, seppure limitate, a Houston, Indianapolis, Los Angeles, Sacramento, e sono in arrivo ad Atlanta, Chicago, Dallas, Kansas City, Houston, Los Angeles, New York, Phoenix e la capitale Washington. Qui le autorità hanno l’ultima parola sulle fusioni tra operatori, ma per il resto vige il mercato.

In Cina, dove il governo detta le strategie economiche dall’alto, le reti pilota stanno partendo a Pechino, Zhengzhou, Xiong’an, Shanghai, Suzhou, Shenzhen, Chengdu e in altre 25 città.

La rete della coreana KT da dicembre copre Seoul, altre città popolate e le isole Dok. Chiedo a Sean Cho, responsabile del Dipartimento tecnologia delle reti della KT, sulle difficoltà nell’implementare il 5G, anche dal punto di vista normativo. Cho sorride, anzi, quasi ride: “No! Noi siamo a posto: abbiamo comprato lo spettro! Non abbiamo più preoccupazioni”. Nel Regno Unito si stanno accendendo reti parziali in 16 città con altre in aggiunta a metà anno.

E nella Ue?

Questo è il mio sito preferito in questi giorni”, mi dice Jane Rygaard, responsabile del team marketing di Nokia. È la pagina dell’Osservatorio europeo per il 5G da cui si ricava la percentuale dello spettro assegnato al 5G che sarà utilizzabile entro la fine del 2020 quando, secondo il 5G Action Plan, tutti gli Stati membri avranno dispiegato le reti della prossima generazione (vedi sopra). La percentuale media delle frequenze liberate nelle tre bande è dell’8,5%, con un massimo dell’11,5% nelle bande medie.

“Prima ancora di parlare di tecnologia o altro, abbiamo bisogno di frequenze. Qui si vede a che punto sono gli Stati membri nell’allocazione, non parliamo di realizzare le aste. Quando mi chiedono che cosa bisogna fare in Europa, rispondo: cambiare questo grafico. Alcuni paesi sono fortunati. In Germania le aste sono previste entro l’anno, in Finlandia lo spettro è già tutto disponibile e l’Italia ha concluso le aste” (l’Italia è avanti quindi tranne che per il dettaglio che gli operatori italiani hanno pagato per megahertz di spettro ben dieci volte più di quelli finlandesi).

Dovunque la connettività è ormai un’utenza, mentre la crescita dell’attività internet è andata tutta nelle tasche delle grandi piattaforme, Google, Facebook, Amazon. Anche se non c’è un altro settore dove la domanda stia facendo un tale forte balzo, le telecom “sono diventate un’attività deflazionistica”, dice l’ad di Telefonica José Maria Alvarez Palette. Chua Sock Koong, la top manager della Singtel di Singapore spiega che l’appiattimento dei ricavi degli operatori – la crescita dei loro guadagni va verso l’1% – “è un grande problema ora che devono investire miliardi nello spettro”.

Secondo i dati del Direttore per la connettività digitale della Commissione, Roberto Viola, in Europa la media degli investimenti sarà di €60-100 miliardi l’anno nei prossimi cinque anni. Viola cita Deutsche Telekom che investirà €5 miliardi l’anno. Tim, nella relazione annua parla di investimenti per €3 miliardi l’anno. Considerando che gli operatori non virtuali in Europa superano i 35, si arriva presto a €100 miliardi. Negli Usa s’investiranno circa €29,5 miliardi l’anno; €15 in Giappone (dati Gsma).

Se i numeri non ingannano, la conclusione è che l’Europa stia investendo molto, anche molto più delle altre regioni e paesi, ma ne ricavi poco. Non una rete commerciale o locale industriale è in vista.

Il problema non può essere il livello della ricerca – perché con Huawei, i maggiori produttori globali di ricerca, hardware e software sono gli europei Ericsson e Nokia – o la volontà degli operatori, disperati di rientrare dell’investimento in spettro.

L’Europa ha fatto molto per i consumatori imponendo quattro operatori per paese (anche se “non c’è un numero magico“, Vestager) per garantire la concorrenza. Chi viaggia e i consumatori in generale sono felici, ma i loro paesi, nonostante una ricca minestra di operatori, rischiano di perdere il primo treno verso una tecnologia che porta “naturalmente” alla digitalizzazione e all’ammodernamento dell’industria che altre regioni stanno già realizzando. Alzi la mano chi crede di non averne bisogno.