La privacy o la sconfitta del virus? La privacy o l’economia? La privacy o una seconda ondata di infezioni e morti? I governi in tutto il mondo devono rispondere subito a queste domande tutt’altro che facili. Da un lato, il consenso scientifico indica che per battere il Covid-19 nel medio termine occorrano strategie e decisioni non solo ben ponderate e difficili, ma anche di rapida applicazione – se non si vuole rischiare di tornare ai lockdown generali. Dall’altro, proprio perché toccano diritti fondamentali richiederebbero un dibattito pubblico. Il virus e la capacità di resistenza dei tessuti sociali ed economici lo consentono?
Il percorso verso la Fase II della pandemia è spiegato meglio e con più precisione che altrove in un rapporto recentemente pubblicato dall’American Enterprise Institute, assieme ad accademici del Johns Hopkins Center for Health Security: “National Coronavirus Response: A Road Map to Reopening“. (Qui il link, vedrò di tradurlo) .
Una conclusione è che non sarà un “on/off …, che dovremo essere creativi …, per rivalutare costantemente le misure in base ai dati … (e pronti a) tornare a Fase I se ci sarà un’impennata nei casi.”
Una delle pietre miliari che devono essere raggiunte, dicono, oltre a test su vasta scala, è la capacità di “aumentare massicciamente (la capacità di) tracciare i contatti, di isolare i positivi e di tenerli in quarantena“.
La tecnologia può aiutare?
Da vari paesi arrivano numerose soluzioni. Ad analizzarle, tuttavia, si rivela che rintracciare e monitorare i casi e tutti i loro contatti, una condizione sine qua non per riaprire in sicurezza il mondo produttivo, richiede che gli enti governativi, pubblico–privati o privati acquisiscano una quantità di dati sulle persone. In altre parole, che s’infrangono in misura minore o maggiore le leggi sulla privacy.
Un “pericoloso dibattito è emerso sulla domanda se i principi chiave delle democrazie europee, (come il diritto alla riservatezza dei dati), debbano essere messi da parte durante la pandemia per consentire una risposta più efficace”, scrive Andrea Renda, studioso del Ceps a Bruxelles. “Questo è il motivo per cui la Ue deve stabilire delle precise delimitazioni”.
La stessa Ue, tuttavia, ha dato agli Stati membri solo pochi giorni (fino al 15 aprile), per sviluppare degli strumenti per app che rispettino pienamente gli standard di protezione dei dati Ue (mia sottolineatura). Il tempo per stabilire queste delimitazioni c’è dunque?
Che cosa stanno facendo gli altri paesi?
La Nuova Zelanda ha adottato una “strategia di eliminazione Covid-19″ molto chiara e completa da applicare “prima che la Nuova Zelanda possa prendere in considerazione l’idea di uscire dal lockdown” (mia sottolineatura di nuovo). I sistemi di sorveglianza “e di follow-up dei contatti (dovranno essere) operativi ai più alti livelli di performance“, scrive un gruppo di studiosi delle Università di Otago e di Auckland, che conclude che la gestione dei rischi e del benessere del pubblico durante la ripresa “comporta scelte politiche difficili” che richiedono che il governo crei fiducia nella popolazione affinché questa accetti “le modalità di controllo che dovranno diventare più frequenti e tempestive di quanto siamo abituati”.
Mentre la Ue pianifica per le sue app una revisione tra colleghi entro il 31 maggio, l’approccio della Nuova Zelanda mira invece a creare nella popolazione la fiducia che il governo gestirà i dati sensibili raccolti durante i controlli con la massima cura.
Dall’altra parte dello spettro, in Russia si ricorre all’estesa rete di alta tecnologia del cosiddetto “centro informazioni sul Covid”, tra cui 170.000 telecamere di sorveglianza, intelligenza artificiale e monitoraggio dei social media, riferisce l’Osservatorio internazionale sui diritti umani.
La Cina ha utilizzato app che segnalano la posizione e i dati di ciascuna persona controllata e li passano alle autorità.
Israele ha approvato il monitoraggio elettronico dei pazienti Covid utilizzando la tecnologia che usa per l’antiterrorismo. L’Agenzia per la sicurezza (ISA o Shin Bet) l’applicherà per la prima volta alla popolazione civile per rintracciare i telefoni e i dettagli di tutte le chiamate delle persone controllate, scrive il quotidiano Haaretz. L’utilizzo è stato approvato come legge di emergenza senza passare dal Parlamento israeliano e ha sollevato critiche sulla costituzionalità e la privacy.
All’altro capo dalle soluzioni tipo Grande Fratello, c’è il sistema di monitoraggio e tracciamento fatto da “umani” che userà il Massachusetts. Usa. Annunciato a inizio aprile dal governatore Charlie Baker, prevede la collaborazione con una non-profit sanitaria, “dalla reputazione e capacità collaudate in altre epidemie (ebola), che selezionerà, formerà e supervisionerà il call center virtuale. Dopo l’ottenimento dei telefoni del maggior numero di persone (potenzialmente esposte) possibile, il call center le contatterà e le informerà, in modo che possano … isolarsi se del caso”.
Lo sta facendo anche la Germania, e questo è un elemento importante della bassa mortalità, come ha detto il 16 aprile il ministro della Sanità Jens Spahn alla Cnn.
Il bluetooth dei comuni smartphone si presenta come un’alternativa non intrusiva al tracciamento. Tecnicamente: se una persona è testata positiva o è stata in contatto con una persona infetta, avrà nel suo telefono un codice inviato dalle autorità sanitarie; i bluetooth dei cellulari delle persone cui quella infetta entra in prossimità lo rilevano allertando del rischio di contagio in modo queste persone si rechino a fare il test e a fornire i contatti avuti dopo l’allarme (questa è l’ossatura del funzionamento, poi ci sono delle variazioni).
Nella Ue, i ricercatori del Pan-European Privacy Preserving Proximity Tracing (PEPP-PT) lavorano per sviluppare i protocolli di un’app aperta che possano utilizzare tutti i paesi per consentire alle app nazionali di interagire oltre confine, pur “osservando nel contempo la rigorosa normativa Ue sulla privacy”. L’app è in fase di test a Berlino, funzionerà con i dati identificativi dello smartphone anonimizzati e le persone in contatto con quella positiva non sapranno (teoricamente) chi essa sia.
Il MIT a Boston lavora a una soluzione molto simile chiamata Private Automated Contact Tracing (PACT).
“I metodi tradizionali della sanità pubblica per il tracciamento dei contatti (dei contagiati) sono troppo lenti per tenere il passo con questo virus”, dicono alla Oxford University, nel Regno Unito, al dipartimento di data science del professor Christophe Fraser, perché, come dai loro modelli matematici, “i resoconti dei pazienti sono incompleti – non sappiamo chi è la persona che gli sedeva accanto sul bus. Abbiamo bisogno di una soluzione digitale istantanea e anonima per confermare la cronologia dei contatti tra persona e persona, … (e di poter) inviare messaggi alle persone con cui (quella contagiata) è entrata in contatto”.
In vari paesi asiatici le nuove infezioni arrivano con i rimpatrianti o i visitatori. A Singapore essi devono osservare tutti la quarantena, e contattare ogni giorno le autorità per dimostrare che la rispettano. Il governo ha fatto sapere che le informazioni sull’app sono crittografate e saranno eliminate dopo 21 giorni.
Dal 1° aprile, anche la Corea del Sud ha imposto la quarantena obbligatoria di due settimane a tutti i nuovi arrivati. “Circa 7000 persone entrano in Corea ogni giorno”, si legge in un editoriale su Korea Herald del 2 aprile. “Gli incaricati del controllo, che devono contattare quotidianamente ciascuno, dicono non sarà possibile una supervisione efficace quando il numero delle persone da monitorare toccherà i 100.000 tra sole due settimane”.
Le violazioni sono numerose in tutto il mondo: dai casi di stranieri infetti che girano in Corea e Singapore all’Italia dove continuano a multare ogni giorno migliaia di trasgressori.
Questi giorni sono critici
Perché la ripresa delle attività sia sicura, secondo la Roadmap for Reopening (come sopra), le autorità devono registrare una condizione, tra le altre: che l’autorità possano passare da interventi di controllo massiccio del Covid nella vasta popolazione – i lockdown – a interventi legati ai casi e ai focolai, tenendo presente che per riaccendere in modo esponenziale l’infezione bastano pochi indisciplinati.
Le soluzioni per il controllo delle violazioni e della circolazione delle persone infette i paesi le devono individuare nelle prossime due settimane, non mesi
Un primo problema con le app per smartphone è che il loro uso nella maggior parte dei paesi occidentali sarebbe volontario, come ha affermato anche la cancelliera Angela Merkel.
Un secondo problema è che le app richiedono un’adozione pubblica massiccia. “Per essere efficace (la PACT), dovrebbe aderire il 60% della popolazione Usa, nelle nostre stime”, dice Mark Zissman del Lincoln Lab del MIT. Il professor Fraser dell’Università di Oxford la pensa allo stesso modo.
Un terzo problema è che, se non associati a un sistema di monitoraggio quotidiano personale, i trasgressori possono uscire senza portare il telefono (per esempio, chi teme di perdere il lavoro). Questi trasgressori sfuggono persino ai sistemi di controllo tipo Big Brother.
Un altro strumento sono i braccialetti collegati allo smartphone della persona in quarantena tramite bluetooth. Non appena i due dispositivi si allontanano, il telefono manda un avviso al punto di monitoraggio. Tuttavia, e questo è un quarto problema, se alla soluzione non si abbina il Gps, le persone in quarantena con braccialetto possono muoversi purché si portino dietro il telefono.
Considerando il crescente numero di violazioni, la Corea del Sud ora considera il sistema con braccialetto, riferisce la Kbs il 7 aprile, che Hong Kong e Bahrein utilizzano già. Il Bahrein ha lanciato l’app di tracciamento “BeAware” nella prima settimana di aprile per mantenere le persone colpite sempre connesse tramite braccialetto, bluetooth e Gps abilitato. I funzionari possono inviare anche casuali richieste di immagini.
Conclusione
Tutta la migliore tecnologia combinata e la migliore e più rigorosa anonimizzazione e crittografia dei dati, anche in una soluzione di tracciamento “gestita da umani”, non possono garantire la piena efficacia nel rilevare i trasgressori, nell’avere accesso alle persone con cui sono entrati in contatto e nel garantire che chi ha testato positivi resti in isolamento, senza violare qualche norma sulla privacy, o la maggior parte di esse nel caso della Ue.
Subhajit Basu, professore informatico presso l’Università di Leeds, ritiene, ciononostante, che “il Gdpr potrebbe incoraggiare le persone ad aderire perché promette trasparenza, seppure non assoluta privacy, anche quando si trattasse di un monitoraggio in stile cinese”, ha detto Basu a Cnn Business. Alcuni difensori della privacy come David Carroll, alla New York New School, che ha contribuito a rivelare lo scandalo Cambridge Analytica di Facebook, avverte che la pandemia potrebbe essere usata per minare le libertà civili negli Usa.
Una soluzione potrebbe essere quella di garantire che tutti i dati siano distrutti al termine di un determinato periodo di tempo, come si prevede a Singapore. Un editoriale del New York Times del 7 aprile suggerisce una soluzione simile: “I consumatori devono avere la possibilità di eliminare i propri profili utente quando la crisi sarà rientrata di gravità … e meritano un facile accesso a quanto (i dati) raccolto”.
Con tutto ciò, abbiamo una maggiore chiarezza su che cosa dovrebbe avere la priorità nell’equilibrio tra salute pubblica e privacy dell’individuo? – un dibattito che peraltro risale al 52 a.C., ricorda Renda, quando Cicerone osservò nel suo De Legibus che “salus publica suprema lex esto” (il benessere delle persone sarà legge suprema).
Il noto scienziato neozelandese Nick Wilson ritiene che i braccialetti elettronici dovrebbero assolutamente essere considerati per i cittadini in quarantena in Nuova Zelanda. Anche se potrebbe esserci una certa protesta, Wilson spera che la maggior parte delle persone capisca. La Nuova Zelanda, aiutata da un territorio isolano, ha avuto solo due vittime e sta per entrare nella seconda parte della sua tabella di marcia verso l’eliminazione totale di Covid-19.
“Il Paese sta facendo enormi sacrifici per cercare di ottenere l’eliminazione”, dice Wilson, “quindi chiedere alle persone in quarantena di usare alcuni di questi dispositivi di monitoraggio elettronico non sembra chiedere troppo“.