La cfo di Huawei, il più grande fornitore al mondo per le telco, è stata arrestata in relazione a un’indagine su violazioni delle sanzioni Usa – ore dopo il lancio di Qualcomm del suo Snapdragon 855, il chip che fornirà intelligenza artificiale (Ai) e la velocità del 5G… ai nostri smartphone… tra pochi mesi.
Qual è il nesso? I semiconduttori sono il nuovo petrolio e hanno sostituito il petrolio come tallone d’Achille della Cina. Il Dragone è il più grande consumatore di semiconduttori nel mondo. Acquista il 45% della produzione globale (Huawei acquista chip da Qualcomm e da altri produttori statunitensi, anche se ora produce i chip Kirin con un livello di prestazioni medio-alto). Del totale dei circuiti integrati che la gigantesca industria manifatturiera cinese consuma, solo il 16% è un prodotto domestico, e si parla di un 16% dei 260 miliardi di dollari che la Cina ha speso l’anno scorso in importazioni di microchip. Per dare un’idea, in greggio ha speso molto meno: 162 miliardi di dollari.
La posta in gioco è molto alta: i minuscoli chip che fanno da “cervello” a tutti i nostri dispositivi, smartphone e PC, ma anche a supercomputer, ai veicoli a guida autonoma, ai robot e all’Internet delle cose (IoT) sono anche gli elementi fondanti delle tecnologie che garantiranno la sicurezza e il dominio economico ai paesi in un futuro non lontano: intelligenza artificiale (Ai), machine learning (Ml, la sua altra forma) e le reti 5G a bassa latenza con il loro potenziale di trasformare tutti i settori.
“Senza i progressi nei processi dei semiconduttori e nella progettazione dei chip, che si sono sommati quantità di dati enormi e all’innovazione negli algoritmi per i calcoli, l’Ai non avrebbe potuto passare così rapidamente da speculazione futuristica all’odierna realtà”, si legge in un recente paper di Semiconductors.org.
I semiconduttori sono fondamentali in tutte e tre le aree del tipico flusso di processo dell’Ai: la generazione di dati da smartphone, auto e IoT; l’addestramento degli algoritmi dell’Ai e del deep learning; e l’inferenza da parte dell’Ai di elementi e processi dai casi di applicazione nel mondo reale. Anche i requisiti del Ml quanto a potenza di calcolo e memoria dei chip sono ora molto più alti di quelli per la programmazione e la memoria tradizionali.
Il mercato mondiale dei semiconduttori è previsto che assommi a 478 miliardi di dollari nel 2018, un incremento del 15,9% sul 2017, per rallentare nel 2019 alla pur sempre consistente cifra di 490 miliardi di dollari (poco meno di un terzo del mercato automobilistico mondiale).
Tuttavia, come Jack Ma, co-fondatore ed ex-ad del gigante tecnologico Alibaba, ha detto a Tokyo lo scorso aprile: “Il mercato dei chip è controllato dagli Usa… [che cosa succederebbe se] improvvisamente smettessero di venderli? (…) Ogni paese dovrebbe poter contare sulla propria tecnologia: le società dovrebbero assumersi la responsabilità per i propri clienti, per il futuro globale”.
Detto fatto, Alibaba ha recentemente acquisito il produttore di chip cinese C-SKY Microsystems per alimentare la sua aggressiva spinta verso il big data e l’Ai e lo sviluppo di chip intelligenti per una sua infrastruttura IoT e per auto a guida autonoma.
Resta che Qualcomm (San Diego, Usa) continua è essere di gran lunga il leader mondiale dei chip per le tecnologie telco per il 4G e 5G, e per brevetti. Dalle produttrici del settore dispositivi in rapida crescita come le cinesi Huawei e Xiaomi riceve ogni anno grosse e grasse royalties per l’utilizzo di microchip.
Perché Qualcomm non è più interessata all’acquisizione del produttore di chip olandese NXP che avrebbe incrementato il volume delle vendite? La risposta da San Diego aiuta a capire la loro strategia e anche il trend generale: Qualcomm “è completamente concentrata sul mantenere la sua tabella di marcia per il 5G” – leggasi: vuole mantenere la sua leadership soprattutto nella qualità prima ancora che nella quantità.
La Cina sembra essere ancora molto lontana da una posizione d’influenza nel mercato dei semiconduttori, sia per qualità sia per quantità. È “in ritardo rispetto agli altri produttori nel mondo sia in termini di portafoglio di proprietà intellettuali sia quanto a sviluppo di tecnologie avanzate per i circuiti integrati (Ci). La capacità di progettazione di Ci degli Stati Uniti è ancora molto avanti rispetto alla Cina (la Cina ha Huawei, che però è solo una società). Le produttrici di chip a Taiwan sono avanti di cinque anni. La Cina in ogni caso è salita ai primi tre posti a livello globale quanto al packaging e all’assemblaggio di semiconduttori”, spiega Kyna Wong, a capo presso Credit Suisse della Ricerca tecnologica in Cina.
Con la creazione del Fondo nazionale per gli investimenti nel settore dei circuiti integrati, per finanziare direttamente la R&S di chip, e il programma Made in China 2025 disegnato per promuovere le industrie ad alta tecnologia, Pechino si è data obiettivi ambiziosi, tra cui soddisfare il 70% della domanda interna con microchip prodotti in Cina tra sette anni (ora sono circa il 30%).
Per raggiungere questi obiettivi, la Cina utilizza anche scorciatoie: tra queste l’accordo con la britannica Arm che ha ceduto il controllo delle sue attività cinesi a una joint venture locale; e una joint-venture tra Qualcomm con Datang Telco Technology di proprietà statale per sviluppare chip per smartphone di fascia bassa.
Secondo gli analisti, tuttavia, tutto ciò non risolve il problema della proprietà intellettuale, che è di primaria importanza per la filiera della produzione di componenti elettronici, oltre a costringere la Cina a pagare cospicue royalties. Gli Usa nel 2017 hanno ricevuto in royalties 128 miliardi di dollari e sborsando 48 miliardi. La Cina, invece, nel 2016 ha guadagnato solo 1 miliardo spendendo a sua volta 24 miliardi (pochi probabilmente rispetto a quanto avrebbe dovuto pagare).
Come nella mossa di Alibaba, alcuni osservatori come l’esperto di cose cinesi Tom Holland ritengono che la Cina non abbia come obiettivo raggiungere l’attuale plotone di testa della tecnologia. “I piani di Pechino vanno ben oltre la sostituzione di ciò che ora importa: prevede di aggirare il problema scavalcando gli Usa e le altre economie occidentali per diventare dominante a livello globale nelle tecnologie emergenti — e potrebbe essere disposta a sporcarsi le mani (…) Nel settore semiconduttori, i pianificatori dello Stato mirano al controllo di un terzo del mercato internazionale da parte delle aziende cinesi entro il 2030. E nell’intelligenza artificiale puntano nientemeno che al dominio globale“.