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Aveva Group (Schneider Electric): la visione globale 360° su dati sfruttati con cloud verso il metaverso industriale

Aveva Group plc, il produttore di software per l’industria, è da gennaio parte di Schneider Electric, la multinazionale francese specializzata in gestione dell’energia e automazione di grandi impianti, quali oil & gas, data center ed edifici, oltre a essere produttrice di impianti e macchinari per l’automazione e loro digitalizzazione e servizi. Aveva, che nasce come istituto di ricerca del governo britannico, ora integra un portfolio software trasversale che include servizi, raccolta dati e le relative analisi avanzate per efficientare la performance, la manutenzione e il consumo di energia degli impianti. Ne abbiamo parlato con Maurizio Galardo, Chief Technology Officer della Visualization 3D e XR, e Luca Branca, Country Sales Director, entrambi di Aveva.

Branca, Galardo ci spiegate le dinamiche delle tecnologie che sembrano muoversi più velocemente del solito nel mondo solitamente lento industriale?

Galardo (Gl): L’interesse di chi fa automazione da sempre è quello di elevare la propria offerta proponendo anche software. Siemens, Rockwell e altre società del segmento hanno fatto acquisizioni di compagnie software a questo fine. La vendita di sole macchine e di automazione nel vecchio modello di business era un one shot; una volta venduto l’hardware, si lavorava sulla manutenzione; ora invece, introducendo la componente software nell’equazione, il modello di business si amplia a soluzioni SaaS, rental e subscription che aggiungono un revenue stream pianificabile e, di conseguenza, si ottimizzano e si rendono sostenibili i flussi di cassa/investimento. La maggior parte dei produttori di hardware, soprattutto nel machinery manufacturing, si orienterà verso un modello di business che non vende più solo l’hardware in quanto tale, ma vende la sua efficienza o la sua capacità di efficientare il lavoro. Nel mondo del software il nuovo modello è pronto, meno in quello hardware.

Un’altra ragione di queste convergenze è che le aziende che vendono software attraggono investimenti da fonti differenti rispetto a quelle che vendono hardware. Una grande azienda che ingloba entrambe le anime ma non riesce a tenere diversificato il Roi di ciascun segmento rischia di non attrare né gli investitori dell’hardware né quelli del software. L’importante operazione di Schneider Electric è stata creare un polo software, integrando le società che sono entrate negli anni nel gruppo (Invensys, Aveva e OSIsoft – che è leader di mercato e degli standard industriali nella gestione dei dati operativi real-time). Il portafoglio di Aveva spazia ora dalla simulazione di processo alle fasi di ingegneria, fonti di dati e design, passando dall’passaggio degli impianti dai costruttori agli utilizzatori, e fornen

AVEVA_Maurizio-Galardo-Chief-Technologist-XR

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do a questi ultimi tutti gli strumenti operativi per monitorare, pianificare, eseguire e ottimizzare il processo, la manutenzione e la sostenibilità.

Partiamo dalla cruda e molto diffusa realtà: le migliaia e miglia di clienti con infrastrutture Schneider Electric o di altri produttori che devono integrare, digitalizzare e fruire dello tsunami di dati che producono i loro grandi impianti o infrastrutture o macchine preesistenti nei plant. Come Aveva qual è il vostro punto di forza?

Branca (Br): L’esigenza che i clienti ci sottopongono è di rendere possibile l’estensione dei loro asset di automazione, a prescindere dal produttore, su una piattaforma agnostica e completamente aperta che estenda/integri le soluzioni già esistenti. Essere completamente agnostici a livello di software dà il vantaggio di poter creare anelli di congiunzione tra tutte le apparecchiature dell’infrastruttura esistente con la possibilità di affiancare i propri asset per estenderne le funzionalità. Un sistema chiuso o addirittura isolato fra le due parti non permette l’integrazione. Parliamo di una piattaforma  per i dati che sta un livello sopra l‘automazione ed è in grado di integrare tutti i loro asset.

Una cosa positiva rispetto al passato è che prima occorreva inserire i sensori, ora quasi tutti i macchinari o i dispositivi delle varie soluzioni ne sono già pr

Luca-Branca-Sales-Director-AVEVA

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ovvisti. Questo è fondamentale perché ha snellito moltissimo la parte Ot (tecnologia operativa). Parliamo di sensori che hanno protocolli di comunicazione, sia standard sia più datati, grazie ai quali tutti i dati possono convergere in questo sistema software agnostico. L’operatore può quindi correlare e contestualizzare tutti i dati raccolti attraverso un’interfaccia grafica intuitiva e che soprattutto è in grado di fornire le informazioni necessarie al momento.

Un tempo tutto ciò era una filiera locale, non collegata al cloud…

Gl: Il passaggio al cloud è stato molto importante. Un’esigenza fondamentale è quella di raccogliere le informazioni dall’impianto in tempo reale e contestualizzarle all’interno di super control room già utilizzate da molti nostri clienti (emblematico il caso della monitoring room di Adnoc, chiamata in maniera molto efficace “Panorama”. Gli operatori hanno così davanti a loro una mappa del mondo nella quale vedono tutti gli impianti e la produzione in tempo reale. Se sorgono dubbi o problemi, basta cliccare per entrare verticalmente nel dettaglio operativo di un impianto specifico, fino a raggiungere la granularità che mostra addirittura un sensore o asset specifico. È una visione macro-micro che sta sul cloud estremamente efficace perché minimizza i tempi di implementazione e permette di sollecitare e comandare tutti i passi operativi relativi al mantenimento/aggiornamento del sistema software.

Ultimamente, soprattutto in grandi impianti come miniere, infrastrutture, porti, si stanno imponendo per la connettività le reti private con il corrispondente cloud privato per diffidenza o paura di perdere il controllo o la proprietà dei dati e quindi loro l’Ip (intellectual property).

Gl: Molti clienti non vogliono i propri dati nel cloud pubblico. A mio avviso, un motivo è la diffidenza sul non poter più governare i propri dati, un altro è che provengono da regioni del mondo in cui il cloud pubblico ancora non esiste o non ha strutture affidabili, come Russia, China o Medio Oriente. Il covid ha cambiato tutto. Post-covid le aziende hanno capito che certi fornitori danno un servizio cloud assolutamente sicuro. Aveva ha sviluppato un ambiente cloud (Aveva Connect) tra il più certificati al mondo quanto a cybersicurezza che fornisce supporto 24/7.

Certo, sorge la domanda principale: il mio dato che transita nel vostro cloud, di chi è? Il dato è sempre di chi lo genera, ed è utilizzato per alimentare algoritmi avanzati di machine learning (Ml) e intelligenza artificiale (Ai) forniti da Aveva che imparano dai comportamenti delle macchine. Questa intelligenza artificiale, che migliora le performance e permette di dare all’utente servizi migliori, è l’intellectual property di Aveva, mentre il dato resta in un contesto separato che noi non vediamo. Allo stesso modo il cliente non vede il codice della nostra Ai, ma beneficia dell’incremento di valore e performance che essa genera.

Sullo stesso tema, come aiutate i clienti nel dilemma tra preferire un loro cloud locale per salvaguardare l’ip, o l’efficacia e la potenziale innovazione delle soluzioni cloud di terzi affidabili? A questo si aggiunge ora la possibilità di sfruttare grazie ai dati nel cloud il metaverso industriale.

Gl: I clienti stanno capendo che cominciano a emergere dei paradigmi nuovi, delle esigenze per le quali il prerequisito è avere il dato nel cloud. È proprio il caso del metaverso industriale: alla base vi è la collaborazione fra persone che si trovano in differenti parti del mondo e che hanno competenze in discipline differenti.

Potremmo definire il metaverso industriale una estensione del digital twin che nel contesto collaborativo del settore industriale chiamiamo metaverso. Ovviamente parliamo di una enorme quantità di gigabyte.

Io e un’altra persona possiamo vedere un dato, lavorarci, commentarlo e scaricarlo. Il dato continua a essere in tempo reale, ma noi abbiamo lo stato della situazione, per esempio se dobbiamo risolvere un problema. Un beneficio, quello di averlo in cloud e in tempo reale, che perderemmo se dovessimo scaricare i dati in locale per lavorarci. Il cloud è fondamentale perché consolida il dato in un ambiente (il cloud) fisso, mentre gli utenti che ne fruiscono si spostano virtualmente per commentarlo. Ecco perché il cloud è un requisito sostanziale: è il nuovo paradigma per una collaborazione efficace sui dati affidabili che è diventata una esigenza nelle aziende.

Se ne parlò al tempo del covid e della collaborazione da remoto ma torniamo alla necessità di garantire che i dati originali non siano manipolati o persi….

Br: Dipende dal software: la nostra infrastruttura dati fa leva su metodologie specifiche per garantire coerenza, accuratezza, osservabilità del dato, per cui non sorprende che siano diventate degli standard de-facto in quei mercati estremamente regolati come la farmaceutica o le life-sciences. Tecnicismi ulteriori e più specifici, dal versioning alla segregazione e profilazione dei dati, aggiungono ulteriori livelli di affidabilità. Ma parliamo di caratteristiche molto specifiche di prodotto.

Tutto ciò ho detto, quando parlate di tempo reale, che cosa si intende?

Br: La gestione dei dati in tempo reale è una caratteristica funzionale e peculiare della nostra infrastruttura dati. Con l’acquisizione di OSIsoft, Aveva ha ora all’interno del proprio portfolio una soluzione in grado di effettuare storicizzazione, analisi, contestualizzazione delle informazioni in tempo reale, cioè di generare risultati, Kpi (indicatori chiave di performance) e notifiche in maniera proattiva non appena il dato è creato. Negli ultimi anni, abbiamo inserito anche l’edge [la capacità computazionale disponibile negli estremi di un impianto, ndr] come ulteriore soluzione per il tempo reale ma, soprattutto, per alcune operazioni mission critical. A mano a mano che il cloud ha continuato ad acquisire maggiori capacità, l’edge è stato affiancato dalla possibilità di realizzare lo lavoro sul cloud – mantenendo le sue capacità. In altre parole, le reti sono molto più rinforzate di prima e quindi alcune elaborazioni possono essere eseguite nel client locale e altre sul cloud. Il vantaggio non è da poco, perché quando certi dati sono sul cloud, possono essere processati in tempo reale da qualunque tipo di algoritmo. Ciò fornisce informazioni approfondite a chi sta in una sala controllo. Prima, lo stesso operatore aveva una visibilità limitata alla macchina o all’impianto in cui si trovava fisicamente. Soprattutto con l’avvento delle smart cities, il concetto di sala controllo si sta allargando dalla visualizzazione di insight di un oggetto micro [visualizzazione con il maggior dettaglio possibile, ndr] a quella di oggetti macro con in più la interazione e intercorrelazione degli asset [di un contesto].

Per intenderci, se un elemento X è presente non solo in uno, ma in tanti impianti, quando esso mostra un problema e si ha un’intelligenza centralizzata, essa impara dalla condizione in cui Il problema è sorto. Quando le stesse condizioni si presenteranno in altri impianti dove è presente l’elemento X, la sala controllo li avrà già allertati. Questo prima non si poteva fare perché l’intelligenza predittiva non era a livello global, cioè sul cloud, ma era locale. Il processo individuato per la soluzione era molto distante dal tempo reale, perché dopo la registrazione di un problema, si eseguiva una reverse root analysis per arrivare a capire la causa, poi si trasmetteva l’informazione a chi l’avrebbe digitalizzata nel progetto globale affinché diventasse una best practice per il futuro di quella filiera.

Eppure alcuni clienti vogliono i data center on premise.

Br: Alcune aziende grandi si costruiscono nel loro headquarters un cloud locale, ma la tendenza si sta assottigliando perché si rendono conto che avere un cloud affidabile è più conveniente che mantenere una infrastruttura interna. Alcune aziende nel passato avevano una marginalità molto alta e se li potevano permettere, ma poi numeri alla mano, quando l’hardware richiede manutenzione o dev’essere rinnovato perché diventa obsoleto e assorbe molta energia, cambiano idea.

Quanto alla connettività nelle infrastrutture: di fronte all’esigenza di gestire una mole di dati in tempo reale, la scelta della giusta tecnologia è difficile o obbligata? Pesa anche la questione della sicurezza…

Gl: E quella culturale. Faccio un esempio, una infrastruttura tipo può avere tanti impianti che convergono in un cloud, basato per esempio su Aws di Amazon, mentre andando in Medio Oriente abbiamo tanti impianti tutti cablati anche per la connettività generale, perché lì non considerano le infrastrutture cloud locali affidabili.

Anche nei settori che noi serviamo principalmente – industria, energy, pharma, food & bev – ci sono ancora molti impianti vecchiotti che non hanno il wireless industriale, ma solo connettività cablata. L’automazione è collegata al control room con i cavi, e se si introduce il wireless o il 5G, allora bisogna stare attenti a che in alcune zone le interferenze non condizionino il buon funzionamento degli asset. Il WiFi 6 industriale si sta diffondendo molto, ma non dappertutto. In Corea del Sud, per esempio, in alcune di queste realtà industriali, certi impianti sono venduti e ricomprati come asset da monetizzare, ma che nessuno mantiene. Poi ci sono le belle notizie: tutti gli impianti nuovi che stanno sorgendo. Noi siamo pronti sia per l’uno che per l’altro caso, per tutti i livelli di cybersicurezza che occorrono e con l’infrastruttura che c’è sul campo. Mettiamo in campo tecnologie diverse, che danno però tutte lo stesso livello di affidabilità.

Ho sentito di casi adozione del 5G nella logistica per la necessità di copertura globale e la possibilità di segregare la banda di ciascun cliente.

Gl: Nella logistica e in tutto il mondo della supply chain è diverso perché i warehouse non sono monomarca, ma multimarca. Per poter dare accesso a quattro aziende differenti alle loro aree che molto probabilmente implicano robot, per ovvi motivi occorre segregare l’accesso alle altre aree del magazzino. A parte Amazon che è per eccellenza multimarca ma sempre Amazon, tutti gli altri devono avvalersi di “container” [che sono segregati, ndr].

Tornando alle tecnologie che richiedono un’alta capacità di banda, quali la realtà aumentata o ancora di più il metaverso industriale, che spesso disperse geograficamente.

Gl: I due elementi chiave per un’infrastruttura che vuole fornire servizi di quel tipo sono la capacità di calcolo e la gestione dell’energia (quindi il raffreddamento di queste strutture). Quando parliamo di data center abilitanti, parliamo di quelle infrastrutture quali Aws, Azure, Google, Microsoft.

Branca, si discute molto della loro localizzazione, per esempio, per problemi normativi o di prossimità. Ce lo spiega?

Br: È un aspetto fondamentale perché a un dato nel cloud si accede contemporaneamente da vari luoghi, per esempio da Amsterdam o Milano o Sud America. È chiaro che il tempo di latenza non sarà lo stesso e quindi ci troveremo in difficoltà. Quando i dati sono in cloud, i responsabili delle infrastrutture duplicano il dato in varie regioni per far sì che chi vi accede da varie parti del mondo possa avere la miglior latenza. È una dinamica molto complessa che prevede la sincronizzazione dei server, la manutenzione anche dei collegamenti (in alcuni casi si parla di cavi sottomarini che stanno in fondo all’oceano). Altro che nuvoletta bianca!

Quindi le vostre soluzioni sono…

Br: Abbiamo un’offerta in base al tipo di segmento industriale – energy, pharma, food & bev, ecc. Aveva ha più della metà dei suoi dipendenti nella R&D. Schneider si occupa di tutta la gestione dell’energia e anche nella sua trasformazionealta, media e bassa tensione, della gestione di questa energia e quindi dell’efficientamento degli equipment che utilizzano l’energia, ovviamente del cooling, ecc. Quando poi si passa alle applicazioni più verticali entra in gioco Aveva con il proprio portfolio software. che può gestire o visualizzare in tempo reale l’assorbimento di energia, o lo stato di n macchine, ecc. Il prodotto Aveva può essere installato a monte di smart cities, di impianti oil & gas, impianti di produzione energia o estrazione materie prime, piattaforme offshore… proprio perché per definizione è agnostico.

Anche così, questo layer potrebbe dover integrare migliaia di sistemi garantendone pure la sicurezza e molti produttori Oem si stanno integrando già a monte delle installazioni.

Gl: Siamo in una fase di transizione. È proprio così: in questo momento ci sono molti stimoli, molte iniziative per consorzi, per federazioni e per creare degli standard, che in alcuni contesti saranno definiti dai clienti. In altri si cercherà solo di uniformare le specifiche di un cliente, e per ovvi motivi non ci sarà uno standard univoco. Faccio un esempio concreto. Schneider è uno dei membri fondatori del consorzio che ha creato lo standard Opc, un protocollo di comunicazione tra i Plc – l’interfaccia hardware attaccata alla macchina fisica – per una esigenza precisa. Siemens, Schneider, Abb costruiscono le macchine, ma il cliente, che le mette una dopo l’altra per creare il suo processo di produzione creandone una linea, si ritrova con macchine appartenenti a vari vendor, da cui l’esigenza di avere uno standard da usare per far comunicare macchine di brand diversi.

C’era il bisogno che l’informazione di uscita da una macchina fosse l’informazione in entrata nella seguente, e così via. Quel consorzio ha avuto senso perché ha dato una risposta alle esigenze dei clienti con un linguaggio comune di comunicazione tra le macchine. Un altro consorzio che si sta formando è quello del metaverso: è ancora presto per dirlo ma la definizione di uno standard comune sarà più lento per il semplice motivo che ciascun produttore ha delle specificità e degli interessi particolari rispetto a ciò che sarà il protocollo del web 3.0 o quelli per il 5G. La costruzione del metaverso o dei metaversi, come si naviga e, soprattutto, quali tipi di informazioni vi gireranno è ancora qualcosa da definire.

Però la ricerca del metaverso industriale si sta muovendo spedita, nelle ultime fiere di settore era dappertutto…

Gl: Considerando le tre declinazioni del metaverso, social, commerciale e industriale, le aziende che stanno andando a mille sono nel segmento commerciale (il fashion ad esempio), quello social sta arrivando. Quanto all’industriale, in Aveva abbiamo già dei casi d’uso.

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