//guiomarparada.nova100.ilsole24ore.com/

InvestINTec – Come s’investe in tecnologia industriale avanzata al tempo dei dazi e altre incertezze?

La tecnologia − AI, semiconduttori, data center e ancora, automotive, difesa − ha provveduto a un anno di sorprese continue, sullo sfondo di politiche tariffarie che si ripercuotono sulle filiere della fornitura e di quadri normativi industriali in continua evoluzione, tra l’altro. Come si districa in questo panorama chi deve investire in tecnologia industriale avanzata?

Paolo Delnevo, Vice President Southern Europe & General Manager di PTC

Abbiamo avuto una prima opinione da Paolo Delnevo, Vice President Southern Europe & General Manager di PTC, delle cui soluzioni software − ora integrate con l’intelligenza artificiale, si avvalgono aziende leader e pmi di settori quali la difesa e l’automotive, quelli dei dispositivi medici o delle turbine eoliche, e la manifattura in generale.

Delnevo, come s’investe in tecnologia industriale in questo momento o nell’anno che si conclude? I vostri clienti hanno continuano a investire − e in quanto tempo si attendono di fare Roi?

Ptc sta registrando un numero record di ordini significativi sia da parte di aziende importanti sia di aziende piccole. In entrambi i nostri canali distributivi – quello dedicato alle aziende più grandi e quello dei rivenditori per le pmi che in Italia è molto importante perché rappresenta circa la metà del nostro fatturato – abbiamo registrato da ottobre 2024 a marzo 2025 un semestre record.

Il trend è sicuramente positivo, e anche se il dato dell’incertezza esiste, non ha fermato le aziende. Viviamo in quella che ormai è chiamata intelligence economy, nella quale la velocità, i dati e l’agilità sono i perni guida del settore manifatturiero, uno dei settori trainanti dell’economia italiana.

Nonostante diversi trimestri di produzione industriale in calo in Italia, gli investimenti in tecnologia e R&S nella manifattura continuano ad essere sostenuti dagli imprenditori. Le aziende che ora investono in queste aree hanno tutte quattro obiettivi, quattro driver principali che sono: ridurre i costi , differenziare i prodotti , incrementare le vendite e ridurre il time-to-market. La richiesta di tecnologie avanzate per la manifattura è amplificata dall’onda del genAI, degli agenti di AI, dell’intelligenza artificiale in generale. È una realtà con un impatto importantissimo su tutta la R&S, quindi anche su prodotti storici di Ptc quali il CAD, PLM e ALM, nei quali le funzionalità dell’Ai ora sono integrate e, soprattutto, sostengono il Roi.

Per concludere, è un mondo molto più complesso, di prodotti intelligenti, nel quale le spinte sono amplificate da fattori esogeni come l’incertezza dovuta alla situazione macroeconomica o alle tariffe doganali − ma non ho sentito alcun riferimento esplicito al fatto che la minaccia delle tariffe abbia stimolato l’adozione di certe tecnologie prodotte negli Usa, come quelle di Ptc. Il semestre record che abbiamo registrato lo attribuisco alla necessità delle aziende di essere più produttive, di mantenere il vantaggio competitivo e di gestire una complessità del prodotto ormai veramente difficile da tenere sotto controllo .

Nello scenario di nuova complessità dei prodotti e della produzione, quali figure sono i vostri interlocutori quando parlate di queste tecnologie e di Ai? I tradizionali chief executive officer, i CEO; i chief information officer, i CIO; i chief technology officer, i CTO; i chief financial officer, i CFO, i chief digital o data officer, i CDO, o altri? Vede un trend in questa dinamica?

Noto un cambiamento rispetto a qualche anno fa: la prima discontinuità significativa è avvenuta con l’iniziale digitalizzazione, quando si è cominciato a parlare di Industria 4.0 e le aziende hanno capito che digitalizzare significava ripensare i processi e altri aspetti della produzione. Quindi c’è stata l’introduzione all’interno delle aziende della figura del CDO, il chief digital officer, che alcune volte coincide con il CIO, ma che sempre più spesso è una figura aggiuntiva che risponde al CFO o al CEO. Questo è stato il primo momento di discontinuità: molti progetti e valutazioni sono stati portati avanti da queste figure. Semplificando molto, potrei dire che il CIO è un direttore tecnico che consente ai progetti dell’IT di evolvere naturalmente giorno dopo giorno. Il CDO lo equiparerei a un direttore della ricerca e sviluppo, a una figura che guarda al futuro, più strategica e meno operativa.

A grandi linee, direi che negli ultimi 3-4 anni abbiamo avuto discussioni parallele: con il CIO per portare avanti nel quotidiano i piani relativi ai prodotti che il cliente utilizzava già, quali il CAD o il PLM, con l’aggiunta delle evolutive di progetto, per estendere il perimetro e includere nuovi processi, per dotarli di nuove funzionalità e quant’altro. E parallelamente con il CDO, il quale, si potrebbe sintetizzare, ha l’obiettivo di traghettare l’azienda dalla Old Economy verso la Digital Economy.

Questo è già avvenuto in modo consolidato nella manifattura, nella grande azienda prima e dopo anche in quella piccola.

Noto almeno da 12 mesi in tutte le discussioni strategiche che Ptc ha con il classico CEO, da sempre il nostro principale interlocutore, una più importante presenza del CFO, ma anche di colui che nei grandi gruppi è chiamato Global Purchasing Manager (GPM). Come si accennava, per le aziende la digitalizzazione non è fine a sé stessa: digitalizzano o vogliono introdurre l’Ai su progetti mirati, che siano scalabili e che generino un ROI certo.

Una delle grandi sfide dopo discontinuità introdotta da chatGPT è stato l’imperativo di individuare i casi d’uso che possano portare valore all’interno dell’azienda nel suo comparto specifico, ma soprattutto individuare gli use case scalabili. Non parliamo quindi di AI in senso lato, ma in modo verticale e in questo senso si può dire che il CFO e il GPM hanno avuto, soprattutto nelle aziende più strutturate, un ruolo trainate.

Questi ruoli fondamentali si sono visti non solo nella verifica della sostenibilità del business case di un prodotto, ma sono anche diventati di grande stimolo all’innovazione. È il caso del tema che sta ponendo in questo momento il CFO: come gestire, anche in funzione delle tariffe, la catena di fornitura. Nel concreto, si parla di analisi “what-if, “che cosa succede se” – nelle quali l’AI è uno strumento chiave – e di come bilanciare a seconda del mercato la catena di fornitura.

Direi per concludere che sì, il CFO, il CTO e il CDO sono tre figure che nel corso degli ultimi 3-5 anni sono state sempre più coinvolte nei progetti, con una accelerazione negli ultimi 12 mesi a causa delle incertezze cui accennavamo, e anche alla situazione burrascosa nel Medio Oriente e in Ucraina.

Le catene della fornitura hanno subito profonde alterazioni dal 2020, e tutte beneficiano di applicazioni operative e strategiche dalle funzionalità ora moltiplicate dall’AI: dal PLM alla simulazione di scenari “what if” come lei spiegava. A sfruttare questa enorme opportunità sono particolari settori o dipende piuttosto dalla dimensione delle aziende?

Io lavoro su cinque mercati verticali: automotive, industrial , aerospace and defense e hi-tech medical devices. Innanzi tutto, va considerato il luogo di produzione e se le aziende producono per un mercato di riferimento specifico, come potrebbe essere l’automotive. Un nostro cliente produce sistemi di filtrazione per vari settori industriali e quindi ha stabilimenti produttivi vicino agli Oem, vale a dire, nelle varie regioni del mondo. È una situazione complessa.

Altre aziende, sempre internazionali, esportano in tutto il mondo, ma hanno la produzione localizzata, come un nostro altro cliente che produce a Parma con fornitori locali. Essendo in questo caso il territorio una loro caratteristica fondamentale, la loro catena della fornitura è molto più semplice. L’elemento discriminante è quindi la struttura produttiva e la logica con cui è gestita le supply chain, che a sua volta tende a essere conseguenza della prima.

Ci sono casi più complessi come il design anywhere o il manufacturing anywhere, che hanno fattori di complessità superiori di almeno un paio di ordini di grandezza rispetto all’esempio citato prima.

Uno studio parla di una forbice che si starebbe allargando tra la capacità di investimento in tecnologie avanzate – tra cui l’AI – delle grandi aziende della manifattura globale e quelle medie e piccole, la cui capacità si starebbe riducendo. Lei che cosa osserva?

Innanzitutto, è sicuramente migliorata l’attenzione all’investimento in queste tecnologie che sono in grado di differenziare le aziende, sempre di più. Mentre prima nella piccola azienda la propensione all’expenditure era inferiore, in questo momento, a mio avviso, lo scenario è cambiato completamente. A prescindere che un’azienda sia grande o piccola, tutti hanno chiaro, dal manager della multinazionale all’imprenditore della pmi, che l’unico modo per sopravvivere è investire e innovare. Siccome innovare non è un evento discreto, ma un processo continuo, l’innovazione comprende tutto, quindi anche gli investimenti in R&S e in tecnologie abilitanti. Io osservo che, a prescindere dalla dimensione, le aziende investono sempre di più in questo tipo di tecnologie.

Quale peso ha l’obiettivo sostenibilità nel quadro che ha delineato, considerando che nella pratica una sua funzione è una riduzione dei costi per l’energia?

Secondo uno studio IDC, l’ 89% degli executive nelle aziende hanno come priorità massima la riduzione dei costi, l’81% differenziare i propri prodotti e quindi aumentare il vantaggio competitivo facendoli diventare più attrattivi; al terzo posto si registra l’incremento delle vendite; al quarto la necessità di arrivare più velocemente sul mercato. Si deduce che per le imprese manifatturiere è più importante avere prodotti innovativi che arrivare presto sul mercato.

È pertanto un quadro diverso rispetto al passato.

Quello che le aziende ci raccontano è che nello sviluppare prodotti innovativi, nel senso classico del termine , la sostenibilità è ora un criterio decisionale di acquisto. In altre parole, le aziende che sono in grado di dimostrare la sostenibilità del singolo prodotto partendo dalla catena di fornitura e sulla base della sua orma ambientale sono più attrattive per i buyer e di conseguenza più competitive.

Quanto ciò guidi l’investimento tecnologico è difficile a dirsi perché la sostenibilità riguarda molteplici aspetti, ma è sicuramente un driver importante quanto alla differenziazione del prodotto.

Il Sud dell’Europa, e si dovrebbe includere la Francia, ha una opportunità grazie a queste tecnologie avanzate e all’AI – con i vantaggi di riduzione dei costi e controllo di adempimento alle normative, tra gli altri aspetti – nel settore del farmaco?

Nel manifatturiero pharma, l’Italia è la prima produttrice in Europa per le multinazionali del farmaco, oltre ad avere una serie di aziende farmaceutiche importanti. Noi consideriamo un settore più ampio che include il farmaceutico e il cosiddetto med-dev, ossia la produzione di dispositivi medici o medical devices. Il med-dev è un’attività produttiva discreta, quindi si parla prevalentemente di macchinari in un quadro più semplice, e l’Italia è più focalizzata sul manifatturiero discreto che non di processo. Tuttavia, anche sul pharma abbiamo delle soluzioni importanti, per cui è un mercato di riferimento che teniamo monitorato per soluzioni ALM, application lifecycle management, soprattutto per quanto riguarda la parte test e la gestione del software a bordo macchina nelle linee di produzione. È un settore molto importante per queste tecnologie.

Nelle aziende dell’automotive più avanzate si producono già software-defined-vehicles. E l’aerospaziale è ancora più avanti. Sempre in relazione alle tecnologie avanzate, nella sua regione, vede una continuità da dove siamo oggi ai livelli più avanzati?

Distinguerei, innanzitutto, l’Italia dalla Spagna. In Italia abbiamo il caso della Motor Valley, con Bugatti, Ferrari, Maserati, Lamborghini, Dallara, Ducati. La Motor Valley è un caso a sé, perché può essere inclusa nel settore del lusso invece che nell’automotive. Inoltre, noi europei stiamo dimostrando una scarsa lungimiranza e sottovalutazione nei confronti della Cina. Quanto sia alto il rischio ora di perdere in modo significativo un settore industriale così forte come l’automotive dipenderà dalla capacità e dai tempi di reazione.

L’Italia il comparto dell’automotive, in quanto tale, lo ha già perso, mentre continua a rimanere, invece, il mercato di riferimento per la componentistica, per la Germania, per esempio. Quello dei fornitori è un mercato nel quale regna però una grossa incertezza. La crisi abbastanza pesante dell’automotive tedesco ha un effetto estremamente negativo sul piccolo imprenditore della componentistica. Sono realtà piccole e flessibili, e per questo da sempre una caratteristica e la forza dell’Italia. La diversificazione è all’ordine del giorno.

Mercati, quali la difesa, stanno crescendo tantissimo: molti suppliers si stanno convertendo alla componentistica per due tipi di difesa. La prima è la difesa tradizionale, la seconda è quella che rientra nella così chiamata Space Economy. Riguarda , per esempio, tutto ciò che è correlato alle comunicazioni satellitari. In Italia ci sono tantissime startup, e Torino ne è ancora una volta il centro, senza nulla da invidiare agli Stati Uniti per tecnologia e per competenze.