Le aziende manifatturiere italiane investono per avanzare nello Smart Manufacturing. Innanzitutto in automazione, intelligenza artificiale e machine learning; poi per fare sfruttare al meglio le tecnologie agli addetti e per avere quelli qualificati che ora spesso mancano. La qualità è una priorità in Italia, come lo è mitigare i rischi proprio con questo tipo di investimenti, e contribuire alla salute e alla sicurezza abbassando il consumo di energia nel perseguimento degli obiettivi di sostenibilità.
Le cifre del rapporto sullo Stato dello Smart Manufacturing 2024 di Rockwell Automation, che abbiamo avuto in anteprima per il capitolo italiano, offrono un quadro di volontà di avanzamento verso la manifattura intelligente ed evidenzia gli ostacoli che le aziende italiane sono impegnate a superare.
Disaminando i numeri, il rapporto dice anche che in Italia a fronte di un plotone di testa di aziende, il 7%, che investe più del 50% del budget operativo in tecnologia, una maggioranza del 59% spende tra il 21% e il 50%, mentre un ben 35% investe meno del 20%.
Se adottare tecnologie senza obiettivi e casi d’uso ben definiti non è mai un utilizzo efficiente degli investimenti, in un Paese come l’Italia con un così vasto impianto produttivo storico, ciò può condurre alla cosiddetta paralisi tecnologica, ossia la difficile scelta tra le molte tecnologie disponibili. Per un 25% delle aziende manifatturiere italiane questo è il primo rischio.
Al tempo stesso, l’80% di loro, evidenzia il rapporto, indica la volontà di investimento nei prossimi 12 mesi in intelligenza artificiale (Ai) e machine learning (Ml). Mentre la media europea in questo campo è leggermente superiore (84%), il 40% delle aziende italiane, più che negli altri paesi europei, vede questi investimenti come leva di crescita.
Gli obiettivi sono ottimizzazione di processo (51%), controllo qualità (37%) e disegno dei prodotti (28%).
La convinzione sull’impatto positivo e il Roi degli investimenti in Ai accanto alla difficoltà di scegliere le tecnologie caso per caso appaiono in qualche modo contraddittori.
“Non è semplice”, ci spiega Fabrizio Scovenna, Country Director di Rockwell Automation per la Regione Italiana. “Spesso si individua una soluzione basata su AI con l’obiettivo di risolvere un problema, efficientare un processo, migliorare alcune prestazioni, ma a volte queste aree di intervento coinvolgono più segmenti e team dell’azienda, questo provoca maggior complessità per l’avvio del progetto. Meglio è circoscrivere il problema, iniziare con un progetto pilota che coinvolga poche risorse e fornisca un rapido riscontro con un duplice vantaggio: rendere più veloce l’adozione della tecnologia e ottenere un risultato misurabile (calcolandone il Roi)”.
Per quanto riguarda la crescita, per il 38% delle aziende europee una maggiore automazione è l’elemento principale, mentre lo è solo per il 27% di quelli italiane.
Anche così, gli investimenti in automazione di processo in Italia sono marcatamente più alti della media europea – 40% rispetto a 36%. Se ciò serve in parte a mitigare la carenza di manodopera qualificata, come si devono leggere questi dati? Come una tendenza a consolidare o ammodernare le tipologie di produzione esistenti o pure come la volontà di avanzare con l’automazione, o con una automazione sempre più intelligente, nella trasformazione digitale?
“Certamente lo scenario italiano non aveva avuto nel passato uno sviluppo così importante in termini di evoluzione tecnologica. Il progetto Industria 4.0 e i successivi interventi sono stati un impulso che ha fatto partire, e in alcuni casi addirittura poi accelerare, queste trasformazioni tecnologiche e digitali che, per chi le ha inglobate in una visione più strategica, si sono rivelate determinanti per la capacità di rimanere competitivi nel complesso contesto economico globale”.
Rispetto al 2023, quando tra i maggiori rischi si elencavano gli shock alla filiera della fornitura, nel 2024, dopo la preoccupazione del 27% delle aziende di non innovare abbastanza, per il 23% sussiste la difficoltà a ricoprire i ruoli che richiedono qualifiche tecnologiche. Che cosa ci dicono questi numeri abbinati a quello sulla volontà di introdurre maggiore automazione?
“Innovare”, dice Scovenna, “riduce i costi di produzione, dà maggior competitività, garantisce maggior sostenibilità, ecc. Ma l’automazione richiede comunque figure professionali che siano poi in grado di gestire queste innovazioni e qui il problema della carenza rimane. La parte critica sarebbe quella di sviluppare gli skill di chi già è presente (upskilling) e cominciare a formare nelle scuole le risorse necessarie (vedi ancora scarso appeal per le scelte tecniche o gli ITS parauniversitari)”.
Nel capitolo rischi, il 21% del manufatturiero italiano include la difficoltà a sfruttare al meglio i dati, che vede però anche per il 33% come un meccanismo di crescita, prima dell’automazione che lo è per il 27%. Scovenna, che ha una lunga esperienza di questi sviluppi in Italia, lo spiega: “L’automazione è necessaria per arrivare ad avere la fabbrica intelligente, ma, ripeto, serve gestirla e poterla utilizzare per far evolvere la struttura della fabbrica intelligente. Credo ci sia sempre il timore di innovare con l’automazione, ma poi di non essere in grado di ‘pilotarla’ e di sfruttarla in pieno. È un rischio molto concreto in chi investe per moda o per imitazione del concorrente. I dati che l’automazione produce devono servire a modellare e adattare il proprio modello di business, come quelli che arrivano dal mercato e dal consumatore servono a produrre in modo intelligente. Sono percorsi interconnessi che vanno interpretati, perché non saper interpretare i dati è il maggior elemento di fallimento. Il processo deve rivelarsi ‘continuo’”.
Quanto alla sostenibilità e agli obiettivi ESG, il 75% delle aziende italiane ha già politiche in essere – il 43% generali, il 32% specifiche al territorio. Se per le aziende europee la gestione dell’energia è centrale, per il 40% di quelle italiane prevale la qualità del prodotto e la sicurezza, per il 39% la salute e la sicurezza e per il 37% il consumo di energia. Un 37% ha come la motivazione fare il bene della comunità, il 36% adempiere alle normative.
Adottare tecnologie per la manifattura intelligente, dice il rapporto, ha inoltre in Italia gli obiettivi di rafforzare la resilienza delle attività e dei processi, in primo luogo quanto all’obiettivo di qualità (per il 39%), in secondo luogo per rendersi più interessanti agli occhi dei clienti (35%), e infine per migliorare l’efficienza degli impianti (33%).
Importante appare dunque che l’80% di aziende manifatturiere italiane pianifichi o abbia in essere investimenti in soluzioni di intelligenza artificiale (Ai) e machine learning (Ml).
“L’Ai applicata ai processi produttivi può portare a miglioramenti significativi in termini di efficienza, qualità e adattabilità”, dice Scovenna. “Innanzitutto, occorre Identificare i problemi da risolvere (es. riduzione degli sprechi, miglioramento della qualità del prodotto, previsione della domanda o gestione dell’inventario, ecc.), poi raccogliere e organizzare i dati. L’Ai è vantaggiosa ed efficace se ha accesso a grandi quantità di dati e di alta qualità. A questo punto è necessario scegliere l’algoritmo e il modello appropriato e partire nella sua implementazione in modo modulare e progressivo, senza affrontare subito processi troppo complessi. Questo permette un facile monitoraggio e valutazione delle prestazioni e dei risultati ottenuti, in modo da praticare aggiustamenti ed affinamenti. Tutto questo processo ed approccio risulta efficace e di successo solo se si coinvolgono le parti interessate con l’opportuna formazione. Perché i benefici si perpetrino è necessario mantenere flessibilità e adattabilità. Infatti i processi produttivi possono cambiare nel tempo a causa di fattori chiave (es. nuove tecnologie, fluttuazioni del mercato, normative, ecc.). Solo il Roi poi sancirà se l’adozione ha portato reali benefici in linea con gli obiettivi aziendali”.
Scovenna ribadisce che il contributo dev’essere “continuo”. “L’auto apprendimento di questi sistemi generano aspettative molto elevate anche in termini di Roi. L’Ml può garantire benefici significativi, sia operativi che strategici, visto che è in grado di analizzare grandi quantità di dati e di apprendere da essi, aiutando ad automatizzare processi complessi, prevedendo tendenze e comportamenti futuri interni ed esterni, a personalizzare i prodotti e i servizi in base alle esigenze dei clienti. Tutti elementi chiave per la trasformazione digitale dell’azienda”.
Il quadro che emerge dal rapporto, in un Paese in cui buona parte delle imprese manifatturiere investe più di un terzo del budget operativo in tecnologia, e che pure teme di non innovare abbastanza sullo sfondo di una vasta legacy, pone una sfida a chi fornisce, per esempio, soluzioni di integrazione dei sistemi esistenti con nuove tecnologie o sistemi chiavi-in-mano o intelligenti che si possono scalare dal piccolo.
“La sfida maggiore è quella di presentare all’investitore dei Roi chiari e misurabili in modo immediato. Solo così si spinge l’impresa ad affrontare l’investimento in innovazione, percependone i risultati ed i benefici. Investire perché lo fanno tutti, rischia di essere il maggior errore. Serve avere una visione chiara dello stadio che si vuole raggiungere, servono i dati contestualizzati che permettano di prendere le giuste decisioni, le risorse umane che siano in grado di abbracciare il nuovo modello di business, investimenti modulari, anche con sistemi ‘scalabili’, che si muovano, step by step, nella direzione strategica che si è intrapresa, continue verifiche e aggiustamenti che permettano di rimanere nel percorso scelto o di adattarlo a possibili evoluzioni che si intuiscono essere più adatte a migliorare i risultati prefissi”, conclude Scovenna. Serve che il fornitore sia un advisor che accompagna il cliente in tutto questo percorso, dall’evoluzione della “legacy” fino al raggiungimento del nuovo modello digitale di business”.