“Voglio una piattaforma in cui governi, università, scienziati, imprese e società civile si incontrino per discutere e concordare codici di condotta, protocolli e altri meccanismi che rendano il cyberspazio, la rete, le tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale… forze che lavorano per il bene”.
Lisbona è una città meravigliosa. L’aria sa di sole. Dalla parte alta si vede il Tago e il ponte che la collega alla zona dei cantieri navali – e a ottimi ristoranti di pesce. Seguendo le maioliche si arriva alla città vecchia e poi alla maestosa piazza do Comércio tutt’aperta da un lato sul fiume.
Da quest’anno, Lisbona ospiterà il Web Summit, un evento commerciale affermatosi come “imperdibile” per i leader della tecnologia di tutto il mondo. A Dublino era una sfilata di fondatori di startup e ad di corporation che raccontavano la loro storia, le prime, e riposizionavano il marchio con più innovazione e responsabilità sociale le seconde. Le tecnologie sono tutte differenti, e molte interessantissime, ma le storie tendono ad assomigliarsi. Gli interventi delle personalità politiche invece ripetono spesso questioni note – il tutto con la proverbiale eccezione che conferma la regola, o meglio, le eccezioni.
“La cosa più affascinante delle tecnologie di punta è che si muovono a propulsione a curvatura. Il 90% del data esistente oggi è degli ultimi due anni. Immagazzinare un megabyte negli anni ’60 costava qualcosa come $1 milione, ora meno di due centesimi. Blockchain e i test genetici sono ormai tecnologie comuni. All’Internet of Things, che procede in maniera esponenziale, si è aggiunta la rete che collega gli impianti medici, un’altra sperimentazione che diventa comune. L’intelligenza artificiale è dovunque”.
Queste tecnologie, ha continuato dal gigantesco palcoscenico ultra illuminato un signore sessantenne con un accento, “ci stanno aiutando a curare le malattie, a combattere la fame. Stimolano la crescita economica e lo sviluppo e ci consentono di essere molto più efficaci nell’affrontare i problemi del mondo di oggi”.
Per risolvere una globalizzazione squilibrata e la molta disuguaglianza, abbiamo gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu – dall’istruzione alla salute, dal salvataggio degli oceani all’azione contro il cambiamento climatico – che, tuttavia, “saranno impossibili da conseguire se non si trasmetterà al mondo la “turbocompressione” della fantastica velocità delle tecnologie cutting-edge”.
Ci sono, però, anche sfide e rischi, ha proseguito. “La prima sfida è l’impatto sociale della quarta rivoluzione industriale: un’enorme quantità di posti di lavoro creati e altrettanti vecchi posti di lavoro distrutti nei prossimi decenni. Difficile sapere quale numero sarà più grande, ma quelli creati saranno molto diversi, e quindi potremmo dover affrontare una vasta disoccupazione e grandi cambiamenti con un effetto sulla coesione sociale.
Occorrerà, dunque, un massiccio investimento in un tipo diverso di istruzione. “Ora ciò che conta non è imparare cose ma imparare a imparare le cose”. Molti acquisiranno le capacità per accedere a nuove professioni, altri non ce la faranno. “Avremo bisogno di una nuova generazione di reti di sicurezza per permettere alle persone di sopravvivere e dare nuovo significato alla propria vita”. Per queste sfide , “è chiaro che non ci stiamo preparando abbastanza rapidamente”.
Il secondo rischio è che internet, che collega già metà della popolazione mondiale e ha dato voce a molte persone emarginate dalla storia, ora sta trasmettendo anche discorsi di incitamento all’odio, viola la privacy e, in alcune situazioni, permette ai governi e altre istituzioni di opprimere, censurare e controllare, ha aggiunto.
“È chiaro che non è il web che ha creato il populismo, il tribalismo, la polarizzazione nelle società, che hanno cause molto profonde. Non si può incolpare il web di ciò, ma è vero che la rete sta amplificando questi problemi e abbiamo bisogno di mobilitare governi, società civili, mondo accademico e scienziati per evitare manipolazioni digitali, delle elezioni, per esempio, e creare filtri per impedire che i discorsi d’odio si diffondano e diventino un fattore d’instabilità delle società”.
La terza preoccupazione è il controllo umano, una questione dove l’intelligenza artificiale è al centro, poiché molte cose che prima erano fatte dalle persone ora sono fatte da macchine che “spesso, sia chiaro, le fanno meglio”. È importante , invece, non dimenticare che “armare l’intelligenza artificiale” pone un grave pericolo: può rendere molto più difficile fermare le escalation nei conflitti e garantire che il diritto umanitario e i diritti umani siano rispettati sui campi di battaglia. “Le macchine con capacità e discrezionalità di uccidere esseri umani sono politicamente inaccettabili, moralmente ripugnanti e dovrebbero essere bandite dal diritto internazionale”.
“Per affrontare questi problemi le tradizionali forme di regolamentazione non sono sempre applicabili”, ha continuato passeggiando avanti e indietro sul palcoscenico. “Nella maggior parte dei casi, la tecnologia si muove così rapidamente che quando una convenzione, per esempio, è pronta, dopo aver riunito le persone per discuterla, approvarla, ratificarla e attuarla, la realtà è già molto diversa”.
“Abbiamo bisogno pertanto di creare piattaforme: voglio che le Nazioni Unite siano una piattaforma in cui governi, università, scienziati, imprese e società civile si incontrino per discutere e concordare codici di condotta, protocolli e altri meccanismi che rendano il cyberspazio, la rete, le tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale… forze che lavorano per il bene”.
Sì, indovinato, era il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres. È ingegnere di formazione, ma ha passato la maggior parte della sua vita a testimoniare la sofferenza delle persone più vulnerabili sulla terra. Guterres ha riassunto senza paraocchi le questioni virtuose e negative della tecnologia oggi come pochi altri leader pubblici.
Grazie, Web Summit. È bene sapere che ci sono leader che sanno.
ps – La stessa Onu usa le tecnologie sopracitate. L’Ocha le utilizza per le emergenze umanitarie, l’Unicef mappa le connessioni tra scuole in aree remote, il Wfp risolve con blockchain il monitoraggio dei pagamenti ai destinatari, e l’Alto Commissariato per i rifugiati sta studiando la possibilità di utilizzare la biometrica per proteggere meglio i rifugiati.
La seconda eccezione in un prossimo post.