“Una cifra è certa: 2%. È l’incremento del Pil guadagnato ogni anno grazie alla minore burocrazia”. L’Estonia è riuscita a digitalizzare la pubblica amministrazione. Come? Lo spiega Siim Sikkut, Government Chief Information Officer del governo estone vicesegretario per l’It e le Telco del ministero dell’Economia. (L’intervista completa)
La spinta a digitalizzare il Paese è stata economica, geopolitica o altro?
Più che altro economica: siamo un paese piccolo, con poche risorse naturali, ma un’economia molto aperta. [Dopo il crollo dell’Urss] volevamo svolgere tutte le funzioni dello Stato, difesa, sanità, istruzione, ecc. In altre parole: dovevamo diventare molto efficienti con poche risorse. Abbiamo sperimentato molto e infine con le tecnologie digitali. I risultati si sono visti subito. L’efficienza è stata il volano, ma visti gli effetti, da esperimento la digitalizzazione è diventata strategia e sforzo consapevole.
Dove si è registrato l’impatto?
Nell’efficienza, a vantaggio dei cittadini e degli imprenditori grandi e piccoli. Il concetto di sportello (e code) quasi non esiste più. Subito abbiamo visto ridursi anche i costi della pa. Più gradualmente, ma altrettanto importante, abbiamo assistito alla trasformazione delle back-office, della burocrazia e della gestione delle politiche governative.
Per esempio, le aziende spendono meno tempo per presentare i bilanci o per firmare i contratti tra aziende o tra datore di lavoro e impiegati. Tutto questo alla fine fa risparmiare a ogni impresa e a ogni cittadino almeno una settimana di lavoro.
Si può quantificare il risultato?
Per valutare gli effetti economici usiamo le “nicchie digitali”, vale a dire, una valutazione economica di ogni nuovo sistema o tecnologia considerando ogni investimento come un business case a sé.
Un risultato è quella settimana che cittadini e imprese avrebbero dedicato alla burocrazia e ora utilizzano per altri attività. Tenga presente che la settimana guadagnata mantiene lo stesso valore economico anche se non è reimmessa direttamente nel ciclo economico, ma è dedicata alla famiglia, all’istruzione o altro.
Cominciavate quasi da zero nella gestione, nelle infrastrutture e nell’alfabetizzazione digitale del Paese in generale. Come avete proceduto con gli investimenti, per esempio, per la banda larga ?
Per gli investimenti abbiamo individuato tre canali paralleli:
Primo, la connettività: abbiamo privatizzato le telecomunicazioni e creato un mercato molto competitivo. Da alcuni anni il governo è uscito del tutto dal settore, ma investiamo ancora molto laddove il mercato non ce la fa, come nelle aree rurali.
Il secondo è stata la formazione digitale partendo dall’elementare uso di un computer, attività che continua, anche se abbiamo offline solo il 10% dei cittadini.
Derivato dei primi due, il terzo canale è stata la creazione di servizi il più avanzati possibile. Tra questi ci sono l’identità digitale e l’e-residenza per chi ha attività in vari paesi e le può gestire remotamente – perché no dalla Norvegia o da una spiaggia in Sicilia – senza bisogno di intermediari o di tasse su ogni transazione. Il successo è andato oltre il previsto: abbiamo circa 30.000 e-residenti.
Il processo di formazione è stato top-down?
Sì, perché volevamo che i cittadini acquisissero il più velocemente possibile le skills per accedere con l’identità digitale ai servizi sociali, sanitari e fiscali, e che le imprese sfruttassero al meglio servizi altamente digitalizzati. In più, il tutto doveva avvenire garantendo procedure assolutamente sicure.
Quali aspetti cruciali dell’esperienza trasmetterebbe a suoi interlocutori in Italia?
Innanzitutto che abbiamo dimostrato che si può fare, anche se riuscirci richiede un grande impegno, decisioni coraggiose e, soprattutto, la volontà di trasformare il funzionamento dello Stato.
Secondo, che i benefici sono quantificabili, nel nostro caso in un 2% del Pil. Ora forniamo più servizi senza sforare il ricavato fiscale. Terzo, mostrerei loro dove siamo oggi: ogni rapporto con la pubblica amministrazione può essere risolto online – con l’eccezione di poche pratiche che vogliamo che il cittadino svolga con la maggiore consapevolezza come il matrimonio o l’acquisto di immobili.
Quarto, che ci vogliono delle fondamenta: una è l’identità digitale, come si diceva prima, l’altra lo scambio dei dati tra le piattaforme della pubblica amministrazione.
Infine, direi loro che l’identità digitale funziona molto bene anche nel settore privato con ricadute importanti.
E il fisco digitale?
È stato una delle prime cose che abbiamo digitalizzato con risultati lampanti. Abbiamo fatto un grande sforzo, ma siamo riusciti ad allargare il bacino di raccolta riducendo l’elusione e le frodi. Il nostro ufficio centrale delle tasse può essere di esempio, perché i risultati si sono visti immediatamente.
Geograficamente e politicamente siete vulnerabili. Come avete affrontato il problema della sicurezza?
Nel mondo digitale le frontiere non esistono, ma l’Estonia è molto esposta perché, funzionando in modo totalmente digitalizzato, non abbiamo backup cartacei. Così, abbiamo applicato semplicemente il criterio di avere i migliori sistemi e procedure. Abbiamo congegnato i nostri sistemi al top. I rischi devono essere presi molto seriamente, ma non devono essere una scusa per rimandare la digitalizzazione.
Che altro lasciate in eredità dalla vostra presidenza del Consiglio Europeo?
La Dichiarazione di Tallinn sull’e-government [ed e-residency, e-pa…] che sintetizza bene le nostre best practices e indica la strada che in Europa tutti dovremmo percorrere collaborando attivamente.
E infine, la lezione che la digitalizzazione dello Stato è una trasformazione e non uno sforzo tecnologico. La tecnologia è sempre la stessa e probabilmente in Italia ne avete di più e migliore. Si tratta del modo con cui la si usa per riformare le procedure. Nel nostro caso è stata una scelta dei governi e dei leader politici. È un cambiamento trasformativo, non una sfida tecnologica.
L’incontro con il vicesegretario è avvenuto a Bruxelles presso il think-tank Ceps nell’ambito di A Digital Presidency, Takeaways for a Digital Europe.