E perché capire il 5G interessa a tutte le aziende – anche alle pmi
Martedì a Washington, la Commissione per le telecomunicazioni (Fcc) ha proposto al settore dei quesiti su come evitare i rischi alla sicurezza dall’utilizzo di attrezzature o servizi di società [cinesi]. A marzo il presidente Trump ha bloccato l’acquisto ostile della produttrice di chip Usa, Qualcomm, da parte di Broadcom, società americana con sede a Singapore ed estesi affari in Asia. A gennaio Trump aveva ventilato l’idea che fosse il governo federale a costruire negli Usa la prossima generazione di reti wireless dette 5G o New Radio.
Perché una tale attenzione?
Perché dall’implementazione delle reti 5G dipenderà se un paese correrà nel plotone di testa verso i grandi cambiamenti che alimenteranno la crescita economica nel prossimo decennio o se sarà tra gli inseguitori. E non parliamo di “diavolerie ipertecnologiche” che a molti possono apparire lontane, come le flotte di auto a guida autonoma o la caffettiera attivata dal telefonino che saprà quando siamo scesi dal letto o lo specchio del bagno che saprà se siamo di buono o di cattivo umore.
Qui è in gioco la capacità dei paesi di non restare indietro in una competizione che richiederà reti in grado di collegare in tempo reale o quasi-reale interi settori manifatturieri, dei trasporti e delle telecomunicazioni: grande logistica, catene delle forniture, fabbriche in grado di funzionare nell’economia della conoscenza e dunque export e investimenti.
Il 5G in breve:
1. Le reti che gestiranno il wireless dal 2020 circa hanno una sostanziale differenza con quelle Lte/4G, le più avanzate ora: i singoli operatori e fornitori di infrastrutture non utilizzeranno ciascuno una tecnologia differente, ma tutti – pubblico e privato – aderiranno a standard tecnologici globali unici.
2. Definire gli standard per le comunicazioni dei prossimi 20 anni è un processo lungo e complesso. Ne è un esempio la Fase 2 (Phase 2) di uno di questi documenti, il Release 15, che ha richiesto 7500 giorni/uomo e la valutazione di ben 100.000 contributi elaborati dalla ricerca universitaria e degli operatori, da autorità governative e agenzie internazionali. Quanto alle società, i maggiori contributi sono arrivati in ordine da Huawei, Samsung, Nokia, Ericsson, Qualcomm, NTT Docomo, Intel, Zte, China Mobile, LG.
3. La gara è diventata freneticamente competitiva – si è visto a Barcellona al Mobile World Congress (Mwc) – perché ogni paese e ogni player spinge perché si adottino le proprie tecnologie per garantirsi un ovvio vantaggio competitivo: chi avrà più brevetti e più tecnologie adottati negli standard venderà più prodotti e servizi.
Per avere un’idea di quanto valga un brevetto, basti pensare che un telefonino android da 400 dollari Usa paga fino a 120 dollari di royalties, spesso più del costo dei componenti stessi. Si provi quindi a immaginare i ricavi che solo di royalties produrranno la vendita di miliardi di smartphone 5G e le grandi infrastrutture – incluse le antenne e il tanto menzionato collegamento a internet di tutti gli oggetti, “l’internet delle cose” (IoT), che qualcuno chiama anche “l’internet di tutto” (IoE). Qualcomm potrebbe chiedere 16,25 dollari di royalties per chip-telefono rispetto ai 5 dollari calcolati da Ericsson. E ai brevetti specifici per il 5G si aggiungono quindi quelli per l’IoT. Qui la gara la sta vincendo con buon distacco Samsung con 4565 brevetti seguita da Qualcomm con 2880 e poi da LG, Huawei e Intel. La prima azienda europea è Eriksson con 1522 brevetti.
4. Un altro elemento sono le frequenze: la Cina, per esempio, preferirebbe la banda 3,5 GHz e sta costringendo le autorità Usa ad allocarci più spettro di quanto vorrebbero. In Europa i tre tipi di frequenze – reti millimetriche, 3,5 GHz e 600-700 MHz – per ora sono portati avanti in modo disomogeneo: è un dispendio di energie nella ricerca e nelle implementazioni pilota o sarà un vantaggio nell’orientare gli standard?
Il governo cinese ha nel Dna la capacità di formulare politiche a lungo termine. Non sorprende quindi che abbia scommesso forte sul 5G. Il rischio è che mentre in Europa (nonostante un importante impegno) si dibatte su normative per la distribuzione delle antenne o negli Usa su quanto spettro allocare qua o là, Pechino stia lavorando già all’applicazione del 5G in mega infrastrutture tra cui il gigantesco progetto che è la cosiddetta Nuova via della seta.
Nessun paese o società globale vorrà perdere l’opportunità di attingere ai 1800 miliardi di dollari che si calcola costerà la logistica della Nuova via della seta. La cinese Huawei, che ha già una posizione leader globale sul 5G, rappresenterà, si prevede, il 39% del miliardo e passa di connessioni esistenti entro il 2025. Dal 2009 ha investito più di 600 milioni di dollari, ha più di 2000 ingegneri dedicati e 30 partnership con operatori in tutto il mondo. Le partnership con Huawei, il cui calendario di trial prevede Vancouver e Milano, Seoul e Londra, è il modo per gli operatori europei, e non solo, di restare attaccati al plotone di testa.
Per l’Europa ciò è particolarmente importante perché funzionale al coinvolgimento di altri i settori verticali, dall’automotive alla manifattura e le industrie avanzate, alle tecnologie per le città dai servizi intelligenti, sì, le famose smart cities, alla gestione della salute.
E c’è poco da andare calmi: all’inizio di marzo il ministro per l’Industria e l’It cinese, Miao Wei, ha annunciato che i suoi ricercatori stanno già pensando al 6G.
@GuiomarParada. Chi volesse altri dati o dettagli sulle fonti ha solo da scrivere.