Ogni paese ha un suo ritmo e la sua strada verso le tecnologie più nuove. Perché non cominciare allora un giro del mondo virtuale dal paese più veloce e determinato, la Cina?
Face++, che si occupa di riconoscimento facciale è stata fondata da tre studenti solo sette anni fa. Oggi conta più di 1500 dipendenti e offre i servizi della piattaforma in 220 paesi e regioni. La tecnologia di face recognition solleva problemi sulla privacy in Europa e negli Stati Uniti, ma Megvii ha sede in Cina, dove le grandi imprese e lo Stato hanno un approccio differente alla privacy. Banche e stazioni dei trasporti l’hanno abbracciata per identificare clienti e utenti. La diffusa piattaforma sta cambiando il modo con cui le grandi società gestiscono i clienti.
È solo un esempio, ma introduce due elementi chiave del tema “geopolitica della tecnologia-innovazione-primato tecnologico”: il ruolo dello Stato e la massa critica. Quanto all’ultima, la Cina ha il vantaggio dei numeri: ciò che in altri paesi si misura in milioni, in Cina parte dalle decine di milioni.
Il numero di Sim attive in Cina, 97 su 100 abitanti, forse è diventato, mentre leggete, 1,340 miliardi – di Sim.
Quando si parla di giganti della tecnologia si pensa a Silicon Valley? Sì, ma alt, quanto a grandi tech companies con capitalizzazioni miliardarie la Cina ne ha più degli Usa. Alibaba vale €184 miliardi, come Amazon ed eBay messe insieme. Tencent supera la capitalizzazione di mercato di Facebook e la sua versione di WhatsApp registra anch’essa un miliardo di utenti… solo in Cina.
Il carburante dell’intelligenza artificiale sono i dati e la Cina ne raccoglie molti, molti di più di qualunque altro paese al mondo. All’orizzonte ci potrebbe essere “un nuovo ordine mondiale della tecnologia che nell’Ai vedrà la Cina e Silicon Valley allo stesso livello”.
Lo spiega nel libro AI Superpowers l’esperto di Ai Kai-Fu Lee. Pioniere e capitalista di ventura che, dopo aver lavorato nell’Ai presso Microsoft, Google e Apple, ora con la sua Sinovation Ventures investe in società cinesi che lavorano allaprossima generazione dell’high-tech.
Il libro uscirà a settembre ma ne ha avuto un assaggio Rebecca Fannin, una giornalista che con grande lungimiranza nel 2008 è andata in Cina per intervistare giovani e sconosciuti imprenditori della tecnologia – che oggi sono Ceo di colossi quotati a Wall Street e a Hong Kong. Nel suo libro Silicon Dragon, Fannin, che ho incontrato recentemente a New York, sosteneva che l’obiettivo della Cina fosse raggiungere gli Usa nella leadership globale della tecnologia e diventarne prima potenza in pochi anni.
“La tecnologia cinese ha fatto passi da gigante negli ultimi dieci anni”, dice Fannin, “lo si vede dal numero di brevetti, dal fatto che sta sviluppando il proprio sistema di protezione della proprietà intellettuale, oltre ad avere il mercato più grande del mobile e di internet, e il secondo mercato del venture capital”.
La settimana scorsa, Xiaomi si è quotata a Hong Kong. Non è andata “bene” e si è dovuta accontentare di €46 miliardi. A New York, Donovan Sung, il direttore del product management, qualche settimanana prima aveva spiegato come la produttrice di smartphone fosse passata da una presenza in soli due mercati a 174 paesi in soli tre anni. Nella stessa sede, Adam Whisper ha spiegato come la cinese DJI ha conquistato il 70% del mercato mondiale dei droni.
A luglio la cinese Huawei ha sorpassato Apple nella vendita di cellulari – che sono solo una parte delle sue operazioni. Con investimenti massicci nella ricerca, Huawei spazia dalle soluzioni wireless per i paesi rurali all’Ai e alle reti del futuro, il 5G, dove corre nel plotone di testa globale.
Giganti a parte, la Cina ha deciso di passare da imitatore a innovatore con determinazione. La storia la racconta, per esempio, Zhonguancun, un distretto di Pechino che dieci anni fa era un semplice polo manifatturiero di elettronica. Oggi, grazie a una alleanza tra università, startup, spazi e parchi tecnologici, ha fatto assurgere Pechino a una tra le 10 principali città della tecnologia al mondo.
A disputarle il nome di “Silicon Valley cinese” c’è Shenzhen. Da villaggio di pescatori è passata ad avere 500.000 abitanti negli anni ’90 e 15 milioni oggi. È la Mecca degli imprenditori della tecnologia, degli sviluppatori e dei maker di tutto il mondo, che vi realizzano il sogno di avere un prototipo pronto in un mese, una settimana o addirittura in tre giorni.
Vi sembra di leggere un depliant promozionale della tecnologia cinese – che traslascia le questioni sociali, politiche o relative alle libertà civili? Comunque sia, non deve piacere, ma fare riflettere forse.
La città di Shenzhen è nipote di Deng Xiaoping, il leader che a fine anni ’70 individuò delle zone nelle quali innovare il modello dell’economia pianificata. Qualche anno dopo, Deng disse durante una visita: “Non abbiate paura che [qui] s’insedino imprese straniere o imprese o joint venture sino-straniere, finché avremo le idee chiare. Abbiamo dei vantaggi: imprese statali di varie dimensioni e, soprattutto, il potere politico”.
Da allora il governo ha continuato a investire. Secondo l’Istat cinese, solo nel 2017, gli investimenti per ricerca e sviluppo sono cresciuti dell’11.6%, al 2,12% del Pil cinese o a uno strabiliante €240 miliardi. Non sorprende che il numero di laureati in ingegneria in Cina superi di tre volte quello Usa da anni ormai.
Oltre a invidiare alla Cina gli investimenti in ricerca, forse è importante tenere presenti le politiche a favore delle generazioni più giovani. Nel movimento dei maker il governo regionale assieme alla società Seg e all’Università di Shenzhen hanno mostrato di credere investendo più di €100 milioni nel “Maker’s Caffe” di Shenzhen. I ragazzi ci vanno per “creare cose”: e trovano strumenti, kit, computer, macchine, stampanti 3D, materiali. E il SegFabLab non è l’unico spazio. Nel distretto ci sono anche il Hax, il TroubleMaker, il Chaihou x.Factory, il LitcheeLab. Li Keqiang, Il capo del Consiglio di Stato ha detto all’inaugurazione: “Vogliamo che le persone avviino delle proprie imprese e che si lascino coinvolgere nell’innovazione”.
La Cina si è data come obiettivo non ufficiale di conquistare il primato in 10 settori dell’industria high-tech entro il 2025, “Made in China 2025“. Chissà che non l’aiuti l’anno del Dragone che dicono porti salute, amore, fortuna e carriera. Il prossimo sarà il 2024.